Ma si può davvero fare marketing b2b con l’inbound? E quali risultati porta? Come trovare clienti online se non hai un e-commerce e lavori nel mercato tra imprese? Domande come queste sono lecite. Anzi giustissime. Ecco perché oggi ti parlerò di un caso concreto, che ha fatto storia nel mondo dell’inbound marketing: l’esperienza di MasterMover. L’azienda inglese ha infatti rilevato una crescita costante del 13% (trend che si ripete di anno in anno) e una conversione dei lead del 30%.
Secondo un articolo di Adobe, i commerciali ignorano fino all’80% dei lead generati destinando invece metà del loro tempo nel prospecting. Un vero e proprio controsenso, questo, che rischia di compromettere le performance aziendali, vanificando gli investimenti pubblicitari affrontati dai business e ostacolando la crescita delle imprese. A confermare questa teoria perfino un sondaggio di LinkedIn: secondo il 60% dei partecipanti questo mancato allineamento può danneggiare una società finanziariamente (dato del 2020, ndR).
Ma è possibile venirne fuori? Esiste una soluzione? Certo che sì. La storia di MasterMover lo dimostra. E oggi ti racconterò proprio questo caso di successo.
Contenuti dell'articolo
Quando tutto è cominciato: una macchina fuori controllo
“MasterMover is a world-leading manufacturer of electric tug solutions designed to improve safety and operational efficiency when moving heavy, large or unconventional loads. MasterMover focuses on innovation, research and development to provide the widest range of electric tug products on the market.”
È questa la descrizione che leggiamo nella sezione “About” del sito della società. In altre parole MasterMover si occupa di facilitare la logistica aziendale offrendo soluzioni per la movimentazione di carichi pesanti, ingombranti o poco convenzionali attraverso dei transpallet elettrici.
L’azienda, che ormai è radicata a livello globale, qualche anno fa stava affrontando un problema epocale: sebbene il suo brand fosse noto ai più, il processo di vendita era fuori controllo. Il business non riusciva a tenere traccia delle perfomance dei vari dipartimenti.
Chi stava facendo cosa? Chi portava più risultati? Come arrivavano i clienti in azienda? Dove bisognava prestare maggiore attenzione per evitare delle perdite? E dove invece conveniva investire?
Domande come queste stavano praticamente assillando il direttore marketing Jonathan Dolby che ai microfoni di HubSpot ha dichiarato: “C’era poca visibilità e quel poco che riuscivamo a vedere era un’immagine spezzettata del processo di acquisizione. Noi stavamo facendo inbound marketing e avere l’intero controllo del funnel di vendita era cruciale”.
Quello di cui aveva bisogno Dolby, quindi, era implementare maggiormente la strategia di inbound e cominciare fare seriamente s-marketing.
Ma cos’è esattamente lo smarketing, come funziona? Il paragrafo che segue ti chiarirà i principali dubbi in proposito.
Se conosci già i dettagli sullo smarketing, quindi, salta il prossimo paragrafo!
Breve guida utile: come funziona l’inbound e cos’è lo smarketing
Anche se oggi, a differenza di qualche anno fa, la metodologia inbound è molto meno misteriosa vale la pena dedicare qualche riga per spiegarla in estrema sintesi. L’inbound è una filosofia di marketing che va in netto contrasto al marketing tradizionale. Se quando si pensa alla pubblicità il tuo cervello ti propone immediatamente immagini di spot tv, inserzioni o anche agenti di commercio che irrompono in ufficio distraendoti dalle tue normali attività, l’inbound mira a coinvolgere nel proprio processo solo quelle persone che hanno dichiarato di avere un reale interesse nei prodotti o servizi proposti.
Un esempio? Faccio inbound io che con questo blog cerco di rispondere a degli utenti che vogliono saperne di più sul digital marketing. Creo contenuti che cercano di saziare la loro curiosità e risolvere i loro problemi. È grazie a questi contenuti quindi che io posso incontrare potenziali clienti, contatti che devono essere gestiti tempestivamente (ma non in modo aggressivo!) attraverso una serie di attenzioni che potrebbero portarmi gradualmente a generare delle occasioni di business.
Coltivare queste relazioni perciò non è compito solo delle vendite, ma anche del dipartimento di marketing, che deve deve fare gioco di squadra. Deve fare smarketing, appunto.
Per smarketing si intendono tutta una serie di prassi e di pratiche mirano a creare un allineamento continuo e immediato tra sales e marketing. Attraverso queste attività quindi entrambi i dipartimenti condividono informazioni, partecipano a riunioni e meeting insieme, ma soprattutto, utilizzano lo stesso sistema di controllo affinché entrambi i team sappiano dove sono finiti i lead generati, di quanti prospect abbia bisogno il commerciale, se il business development si sta avvicinando ai goal prefissati o se la meta sia ancora troppo lontana.
Come MasterMover ha massimizzato il tasso di conversione dei lead grazie all’inbound e allo s-marketing
Sempre Dolbin ad HubSpot: “Facciamo un sacco di lavoro col digitale. Investiamo nelle campagne pay-per-click, con l’advertising sui social, con i contenuti e la SEO. Tuttavia, se non siamo in grado di capire quali sono i canali che portano maggiore ritorno, non possiamo far altro che indovinare”.
Come ricostruire l’intera filiera quindi? La scelta più semplice adottata dall’azienda inglese è stata quella di investire in un CRM.
Grazie al sistema avanzato di HubSpot (che vanta anche una licenza freemium altamente performante) quindi il direttore marketing ha potuto approfittare di funzioni come il lead-scoring e, successivamente, è riuscito a impostare con il suo team una serie di automazioni che gli hanno concesso di gestire tutti i lead efficacemente.
È stato questo il primo passo che gli ha permesso di tracciare i comportamenti dei singoli utenti e quindi di fare analisi di target più approfondite, ottimizzando anche i budget allocati e le attività.
Un esempio? Il reparto marketing si era detto soddisfattissimo per l’alto numero di lead generati dalle ADV di Facebook, ma, come si suol dire, non è tutto oro quel che luccica: “Vedevamo che sul social di Zuckerberg erano tanti i contatti a scaricare le brochure. Eravamo entusiasti finché non ci siamo resi conto che quei lead, alla fine, erano quelli che convertivano meno. Alla fine, insomma, non compravano. Abbiamo quindi fatto altri test e riallocato quei budget sugli altri canali che ci hanno permesso di ottenere maggiori e migliori risultati”.
Con l’entrata in campo delle automazioni, poi, il gioco s’è fatto ancora più strategico. MasterMover ha implementato chatbot e sequenze di e-mail con il fine ultimo di non lasciarsi sfuggire nemmeno un’occasione di vendita: se finivi sul loro sito, alla fine, in qualche modo parlavi con l’azienda.
I contatti venivano coccolati dal marketing con dei contenuti mirati, costruiti proprio sui bisogni della buyer persona, per poi essere segnalati al momento giusto alle vendite che li processano. Una scelta questa che ha impattato moltissimo anche sulla comunicazione tra reparti e, conseguentemente, sulle performance.
A rendere particolarmente soddisfatto Dolby perciò è proprio la possibilità di avere un unico cruscotto di controllo, per così dire, che permette a tutta l’azienda di vedere com’è la situazione e quindi di progettare insieme i passi successivi.
“In precedenza” ha spiegato il manager “ognuno guardava la stessa cosa da un punto di vista diverso. Oggi non abbiamo fonti diverse e questo elimina tutti i problemi di allineamento consentendoci di adottare una leadership condivisa basata sui dati”.
E infatti sono proprio i numeri a parlare chiaro. Le strategie adottate da MasterMover funzionano!
L’azienda ha rilevato una percentuale di conversione altissima: il 30% dei contatti generati dal marketing diventa un lead qualificato per il dipartimento vendite con un conseguente aumento delle conversioni finali. Già, l’azienda infatti ha constatato una crescita delle conversioni finali del 13% di anno in anno, dall’adozione dello s-marketing e di un sistema CRM più performante.
Niente male, no?
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