Carriero: Investire sulla banda larga? Darebbe nuova linfa ai paesi

intervista a cristiano carriero

Lo smart working assicura una qualità di vita migliore e prestazioni sul posto di lavoro più efficienti.

Di smart-working e telelavoro se ne parla da decenni ormai, ma nessuno si è preoccupato di teorizzarlo o meglio di rispondere a tutte quelle domande che possono sorgere quando ci si siede due minuti a considerare davvero il lavoro agile.  Cristiano Carriero, in Italia, per primo ha scritto sul lavoro in mobilità. “Mobile Working” è una guida che risponde a tutte le FAQ di quelle persone interessate ad abbandonare la postazione fissa, scoprire altre modalità di lavoro e guadagnare una qualità della vita migliore.

Ho letto “Mobile Working”, non a caso, due settimane prima di abbandonare il mio studio domestico e andare sulla costa abruzzese per unire l’utile al dilettevole: godere del mare senza abbandonare il lavoro, i clienti. Un fulmine a ciel sereno che mi ha fatto capire quante cose attività potessi svolgere grazie ad uno smartphone. E allora, eccomi qui, a fare due domande a Cristiano, content marketer, storyteller.

Ciao Cristiano, innanzitutto ti ringrazio per aver accettato questa proposta. Prima di cominciare, sento di doverti ringraziare per ogni singola pagina del tuo “Mobile Working”. Di fatto sei stato il primo a scrivere un libro in Italia a riguardo. Ti sei chiesto come mai ci fosse questa lacuna
Il libro nasce dalla constatazione che molti lo dicono di essere smart worker ma pochi fanno davvero smart-working. Non siamo totalmente pronti ad autoregolarci, a salvaguardare i nostri spazi e comunque lavorare con i device che non siano i soliti, quelli usuali. Sono partito dall’assunto che se io se non ho accesso ad un PC, alcune cose posso farle dal cellulare. E non ti parlo solo di lavoro… Pagare le bollette, prenotare un tavolo per una cena o una vacanza. Se rendessimo mobile molte di queste attività, risparmieremmo tempo per fare tante altre cose.

Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, è in crescita il numero delle aziende che adotta politiche per il lavoro agile, lo smart working. In base alla tua esperienza, quanto velocizzerebbe questo processo un’infrastruttura perfettamente funzionante ovunque?
Sì. In realtà gran parte dei problemi che abbiamo oggi sono più di struttura. Pensa se si potesse lavorare in santa pace su una linea ferroviaria. Certe volte su un treno non puoi nemmeno fare una telefonata decente per quante volte cada la linea! Un’infrastruttura funzionante permetterebbe alle persone di lavorare di più e anche meglio.
A parer mio, chi pensa che investire sulla rete internet sia troppo onoreso, sbaglia. Pensiamo a DAZN: un servizio fantastico se non si considera che alcuni utenti ne rimangono tagliati fuori proprio per problemi di connettività. Il governo dovrebbe attivarsi, investire e promuovere una digitalizzazione capillare.

 

È innegabile che molti siano ancora terrorizzati dal cambiamento. Leggiamo di responsabili HR e Project Manager che temono di perdere il controllo sui loro collaboratori e sui progetti. Tu cosa diresti a queste persone?
Che sono purtroppo legate ad una mentalità vecchia. La verità è che le nuove risorse, le nuove generazioni sono abituate ad autogestirsi. Mantenere il controllo su queste risorse significa tenerle legate ad una sedia e questo vuol dire creare una netta distinzione tra lavoro e vita privata. E questa netta distinzione causa stress. Perché, ammettiamolo, le cose che ci aspettano fuori sono tante e spesso la mancanza di tempo si ripercuote sulle nostre prestazioni, sul lavoro. Correre in una micropausa in comune per un documento causa ansia e stress. Personalmente, preferirei assumere una persona con voglia di lavorare che abbia uno spazio per se stesso. Non converrebbe a tutti dare 4 ore a settimana per una vita migliore? Saremmo tutti meno stressati, lavoreremmo meglio.

Nello studio di Spremute digitali, che tu citi, viene dichiarato che lo smart working può “influire sulla domanda di mobilità (…) e mitigare la polarizzazione di attività economiche, servizi e sviluppo sociale che congestiona i centri e priva di identità le periferie”. Tu sei d’accordo? Lo smart-working può ripopolare i borghi dell’entroterra italiano?
Assolutamente sì. Ci sono già alcuni paesi che stanno adottando politiche che puntano su questo: ripopolare borghi destinati alla desertificazione, garantendo una tale efficienza di fibra e WiFi. Così gli smart worker potranno scegliere di vivere insieme in un posto sostenibile. Credo che questa implementazione potrebbe dar vita ad uno sviluppo di nuovi centri che si sono anche svuotati. D’altra parte lo sappiamo tutto: la vita nei paesi costa meno. C’è gente che da decenni spende il triplo in grandi centri quando invece potrebbe risparmiare, avere una qualità della vita migliore facendo le stesse cose che fa in città.

Parliamo proprio del mobile working. Usiamo gli smartphone per tutto, portiamo i tablet ovunque. Secondo te perché siamo ancora reticenti quando si tratta di lavorare con un device mobile?
Come ti accennavo prima, è solo questione di abitudine. Quando è arrivato Facebook sul cellulare ci sembrava difficilissimo scrivere uno status, mentre ora è la normalità. Dobbiamo solo abituarci. Certo, ci sono delle cose che vanno fatte da desktop, ma molte altre attività le possiamo completare comodamente da mobile. Quello che consiglio è fare un esercizio al giorno e piano piano ci si abitua. Si può cominciare scrivendo una lunga e-mail da mobile, per esempio! Certo che è più difficile, all’inizio, però poi magari scopriamo che anche fare un copia e incolla da telefono è più facile.

MobileWorking_copertina_hoepliNel tuo volume, capitolo dopo capitolo, sveli al lettore come affrontare la tipica settimana del libero professionista, senza mettere piedi in ufficio. Da quanto tempo sei un mobile worker? E come ti sei avvicinato a questa filosofia di vita?
Sono un mobile worker da tre anni ormai. Da quando ho lasciato il mio ultimo lavoro fisso. Ho scelto di avere diverse collaborazioni in giro per l’Italia e con diversi clienti e mi sono dovuto inventare un modo per tenere tutto sotto controllo, unire le diverse esigenze senza rinunciare alla mia vita privata. Tutto questo mi ha portato a teorizzare il tutto. Diventa tutto un po’ più ragionato. Arriverei all’eccesso forse ma il mio sogno sarebbe quello di abbattere il concetto di residenza. Dove vivi? Ho una stanza a Milano, una a Bari ed una ad Ancona. Non è bello come suona?

Il mobile working, la vita del “viaggialavoratore” isola secondo te? È possibile trovare dei compagni di viaggio? Come? Esistono delle community?
La verità è che è una vita che ha dei pro e dei contro. È una vita possibile perché se riesci a tenere i tuoi spazi alla fine ottieni benefici. Compagni di viaggio ce ne sono tanti ma credo davvero che farebbe bene promuoverla perché ti rivoluziona la routine, l’esistenza.

Oltre a leggere il tuo libro, quali sono i tre consigli che daresti a qualcuno che vuole diventare un mobile worker?
Consiglierei innanzitutto un’altra lettura. Detto Fatto” insegna la famosa regola dei due minuti di cui parlo nel mio libro. Poi, come dicevamo prima, assegnerei degli esercizi. Provare a fare un’attività al giorno da device per ottimizzare i tempi morti come la fila alle poste. Cominciare a far diventare mobile anche alcune attività che oggi facciamo da desktop non lavorative (l’home banking, la spesa). Io per esempio mi sono dato come compito quello di pagare anche con lo smartphone perché il contante non è totalmente tracciabile e credo che l’utilizzo di carte di credito o bancomat eviterebbe altri problemi, ne risolverebbe molti.

Vorrei concludere con una domanda difficile. Ovviamente non tutte le professioni possono essere svolte in mobilità (un dentista non potrebbe trascinare con sé la sua poltrona) ma, secondo te, c’è qualche tipologia di persona che non può sposare il mobile working. Se dovessi sconsigliare a qualcuno un approccio simile, questo qualcuno chi sarebbe?
In realtà, a parte i mestieri fisicamente legati ad un posto, credo che andrebbe insegnato ad alcune figure che per anni ci hanno abituato al contatto diretto e che ora sono un po’ prigionieri di questo stereotipo.
Commercialisti e avvocati sono abituati a vedere fisicamente le persone quando in realtà cominciano a venir fuori delle figure che comunicano con te usando Whatsapp, che ti condividono file con Drive, che potrebbero evitare di vederti in uno studio cupo e buio offrendoti una consulenza da un co-working a Ibiza tramite Skype, nelle ore che hanno deciso di dedicare al lavoro.
Senza rendercene conto, ci faciliterebbero ancora di più la vita. Queste professioni possano evolversi. È un approccio moderno più veloce e più in linea con i tempi sarebbe più in linea anche con noi che abbiamo già adottato una filosofia da mobile worker.

Sei anche tu un mobile-worker? Raccontami la tua storia!

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